Tette e lustrini: e la musica?

Recentemente, nell’ambiente musicale e non solo,  ha fatto parlare l’intervento di un produttore inglese, tale Mike Stock, piuttosto noto in patria e non solo, essendo tra l’altro – pare – lo scopritore di Kylie Mingue. L’autorevole personaggio, sfoggiando una sorta di anticonformismo di ritorno, ha puntato il dito contro l’eccessivo sfoggio di situazioni, atteggiamenti e pose apertamente sexy nei video musicali di una nutrita schiera di interpreti, specie femminili, star del panorama pop attuale. “Porno soft”, l’ha definito, indicandolo come inadatto ad un pubblico di giovanissimi. A suo avviso, la visione di quelle immagini rischierebbe di iper-sessualizzare precocemente i bambini. L’allarme viene lanciato con riferimento agli ultimi lavori in video di Katy Perry, Lady Gaga, Miley Cyrus, Christina Aguilera, Britney Spears ed altri.Ho voluto visionare alcuni dei video musicali messi sotto accusa e, per buona misura, anche alcuni altri delle loro interpreti. Sull’idoneità o meno delle immagini proposte per un pubblico di ragazzini,  non metto parola . Ne disserteranno, di certo con migliori qualifiche delle mie, i vari pedagoghi e psicologi infantili ormai chiamati in causa ad ogni piè sospinto. Ciò che invece salta agli occhi, a ben pensarci, è la crescente, direi quasi “disperata”, ridondante escalation di trovate ad effetto, nel tentativo di colpire lo spettatore. Nessuno stupore che si sia arrivati all’erotismo al limite del porno… in fondo, da sempre, è ciò che più d’ogni altra cosa si fa notare, e “fa vendere”. Come ben sa anche il più sgalfio dei pubblicitari. E dunque, cosa nasconde questo disperato grido “guardami guardami” lanciato dal mercato musicale? Beh… diventa ovvio quando si escluda la parte video per concentrarsi sulla musica. Che poi sarebbe il vero prodotto, il vero motivo di tutto questo bailamme di lustrini e carni esposte che vi si agita intorno… Il compianto Michael Jackson fu colui che segnò il vero punto di svolta nell’uso della parte video di un brano musicale. Con lui il video smise di essere una sorta di contorno, una mera promozione della hit ma ne divenne una parte integrante: impossibile ancor oggi riascoltare pezzi come “Thriller” o “Billie Jean” senza che nella mente scorrano le immagini dei rispettivi video. Da allora molti hanno seguito la via indicata da Jackson, con alterne fortune.  Ma per molto tempo – parrebbe scontato dirlo, ma non lo è – è stata la musica il fulcro di tutto, la ragione d’essere di ciò che vi ruotava intorno. Oggi le cose pare si stiano capovolgendo. La parte del leone la fa lo “spettacolo”: le movenze, le coreografie, i costumi, le suggestioni, gli ammiccamenti. Il brano musicale diventa una specie di sottofondo a tutto ciò, la cui qualità e cura diventano un aspetto secondario. Il prodotto finale è in effetti il più delle volte deludente. Desolante. Il vuoto pneumatico. Refrain che sanno di già sentito, profluvi di musica campionata, ritmi sincopati, stili e voci straordinariamente spersonalizzate, simili l’una all’altra, tanto che spesso l’ascoltatore distratto si può legittimamente chiedere chi diamine stia strillando l’ultimo ripetitivo ritornello. Pare di avere tra le mani una di quelle faraoniche confezioni che si trovano talvolta per piccoli prodotti elettronici: package esagerato con mega involucro di plastica, e poi cartoncino, e altra plastica, tutto magari per una banale chiavetta usb o un caricabatterie, alla fine. A questo punto diventa abbastanza chiara, come si diceva, la ragione di tutto questo agitarsi. Si tenta di vendere in ogni modo un prodotto che nella maggior parte dei casi è di qualità modesta, quando non apertamente scadente. Quanti dei brani che ascoltiamo in questi mesi – compresi e anzi a maggior ragione quelli i cui video stanno creando scalpore per una tetta esposta o un bacio lesbico – ricorderemo tra vent’anni?

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