Apprestandoci alla recensione del cd “Giardino del tempo” della band sarda Cheyenne Last Spirit, ci troviamo ancora una volta a ragionare di creatività e di omologazione. Sembra una strategia masochistica – ma temiamo invece si tratti di calcolo, drammaticamente ed ingenuamente errato – quella di appiattire le proprie creazioni su uno stile vocale già sentito o superficialmente “in voga” (un po’ Mengoni, un po’ Verdena), su testi di poco peso, su arrangiamenti e giri melodici prevedibili.
Purtroppo in questo lavoro tali ingredienti da discount artistico ci sono tutti. Il cantante trascina e dilata le vocali in tonalità piuttosto cantilenanti a bocca spalancata che, va detto, hanno almeno l’unico pregio di far ben recepire le parole dei testi. Peccato che i testi stessi non vadano oltre un timido tentativo di ermetismo su contenuti che però naufragano nella banalità. Musicalmente, ci si limita a schitarrate a go-go e arrangiamenti tirati via, di una semplicità che rasenta la sciatteria. Insomma no, proprio non ci siamo. Novità zero, personalità zero, creatività congelata e inibita nell’evidente tentativo di inseguire “ciò che va di moda adesso”. Peccato che lo facciano già in migliaia. E così si sprofonda nell’anonimato. Un po’ più di coraggio, please!!