VALERIA CIMO’ RACCONTA LA TERRA

Con “Terramadonna”, recente album di Valeria Cimò, ci si ritrova improvvisamente immersi in atmosfere straordinarie che parlano il siciliano, ma potrebbero parlare qualunque altra lingua poiché quei versi accarezzano e travolgono tanto da rendere secondaria la loro stessa comprensione. A fare comprendere molte cose è invece la cantautrice con i “colori” della sua bellissima voce e un’espressività che si coglie, brano dopo brano. C’è rabbia, ma non solo, c’è emozione, ma non solo, c’è malinconia, ma non solo, c’è, soprattutto così tanto amore per la propria terra e le proprie radici che, ad un certo punto, si sente quasi il bisogno di cogliere una zolla di quella terra che trasuda mille sentimenti, per respirarne tutta l’essenza e la forza.

 

Proprio “Terra” è il titolo del primo brano, che con il ritmo di tamburi tribali ci fa entrare in un mondo tutto da esplorare (ma in parte già esplorato, come nel caso del brano “Parrinu”, vincitore del premio “Parodi” per il miglior testo). Curiosamente “Terramadonna”, brano che dà il titolo all’intero lavoro, è il più breve delle 14 tracce, e ci conferma l’intensità di quanto l’artista va cantando con le ripetute sottolineatire di violoncello che conferiscono maggiore profondità ai passaggi salienti dei brani (è una costante che ritroveremo praticamente sino all’ultima canzone). Intro molto delicata per “Assemmula” che ci conduce verso una “Ninna nanna” che fa trattenere il respiro, tanto quell’atmosfera riesce ad evocare storie di infanzie remote e devozioni fatte di lacrime ed ingenui sorrisi, e trattenuti sospiri. Poi “Passacaglia”, forse il brano più bello (o probabilmente solo più immediato) che pone più degli altri in risalto la voce bellissima e dalle mille sfumature di Valeria Cimò, che ritroviamo in “Aniamaquila” di cui apprezziamo la ricercatezza dell’arrangiamento che si coniuga con una ancor più accentuata intensità; qui la cantautrice canta in italiano (e per qualche istante ci fa immaginare quanto interessante potrebbe essere anche un progetto che la conducesse al di fuori della dimensione più strettamente etnica). La seconda parte del cd scivola con un paio di brani non proprio indimenticabili per approdare “A Santa Rosalia”, omaggiata con un pianoforte in primo piano che accompagna le voci che disegnano dal nulla paesaggi e sensazioni. Eppoi si torna alla tradizione più immediata con “Signuruzzu chiuviti chiuviti” che è infatti un canto della tradizione “riletto” dalla cantautrice con una chiave di lettura che trasforma il brano quasi in una pièce teatrale. Poi, “Si ti cuntu un cuntu” ove ricompaiono violoncelli e percussioni che ripropongono a tratti arie orientaleggianti, anche queste parte di quella storia siciliana che ebbe frequentazioni arabe. “Sono Femmina” chiude questa impegnativa cavalcata di note, un testo politico quasi “rappato”, un brano che rivendica ruoli ed appartenenze, con drammaticità, con un represso rancore. Ma il lavoro di Valeria Cimò non finisce qui. L’artista ha voluto completare questa sua opera con una raccolta di racconti, otto in tutto, tutti dell’autrice, che esaltano le potenzialità recitative di Valeria. Un progetto complesso ed articolato, che tenta di dire e riesce a dire molte cose. Un “gioiello” che va ben al di là della sicilianità che lo pervade.

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