Dimitri Niccolai, alias Tenedle, fiorentino trapiantato ad Amsterdam, continua a distillare dalle proprie esperienze di vita nuova struggente bellezza e nuovi lancinanti dubbi, al punto che ogni disco, centellinato secondo i tempi imposti dall’ispirazione, appare come un capitolo di un’ipotetica autobiografia universale, sempre in equilibrio tra armonia e rumore.
Il suo “Vulcano” erutta pensieri, parole e suoni incandescenti nell’oscurità profonda della notte, aprendosi a melodie di ampio respiro, capaci di ricodificare echi beatlesiani e umori new wave e incastonarli in architetture elettroniche postmoderne e in surreali reticoli ritmici urbani. La saudade elettronica di “Canzoni che fanno male”, con la sua straniante sintesi tra il qui e ora e un possibile altrove, è forse uno degli episodi più emblematici della sensibilità con cui Tenedle riesce a cogliere e ad esprimere, senza dirlo, l’indicibile. La tromba di Bert Lochs, ora ripiegata in inquieti cortocircuiti interiori, ora protesa nel buio in avanscoperta, ha un ruolo chiave nella definizione del suono e dell’atmosfera di un disco che rivela un segreto ad ogni ascolto. TENEDLE, Vulcano (UDU Records – Sussurround, 2014)