Mentre in questi giorni gli organi d’informazione non fanno che enfatizzare notizie economiche negative ( “ma, si sa, i giornali qualche volta esagerano sempre un po’” diceva Adriano Celentano in “Mondo in Mi7a”) e tutti sembrano trasformarsi in economisti esperti, l’estate pare finalmente intenzionate a fare sentire i propri caldi effetti, seppure in imbarazzante ritardo. Le spiagge presentano i tanti ombrelloni chiusi tipici dei tempi più difficili e allora diventa dolce e malinconico ricordare i “tormentoni” delle estati che furono.
Ricordate? Quei refrain, quei motivetti che tutti, ma proprio tutti, canticchiavamo sdraiati al sole, camminando in montagna , o anche rimanendo in casa, con una bibita ghiacciata nel bicchiere ed il ventilatore acceso. Questo fenomeno, nato come musica commerciale, diventò ben presto un “must” , una peculiarità sociale, che faceva tanto estate, che aiutava tutti a sentirsi davvero in vacanza. Chi rimaneva al lavoro poi non era certo da meno: capitava davvero molto spesso di sentire il muratore, piuttosto che il portalettere o il garzone del fornaio, canticchiare :”Una zebra a pois”, o “Tintarella di luna” o ancora “Luglio, col bene che ti voglio” e ”Lisa dagli occhi bluuuu senza le trecce la stessa non sei piùùù”. Erano gli anni Sessanta ed i primissimi anni Settanta del secolo scorso, anche se in realtà tutto era iniziato molto tempo prima, a cominciare dalla fine della guerra. L’aria che si respirava era protesa al futuro ed anche la musica, cosi detta leggera, tendeva a divenire ancora più eterea, con contenuti semplici, di immediata comprensione e con melodie ripetitive e ritmate, quasi ballabili, a presagire ed accompagnare una crescita che pareva non dovesse arrestarsi mai. Poi arrivarono gli anni Ottanta, più sfilacciati musicalmente, ma ancora pervasi da quei tormentoni estivi, che sempre più spesso prendevano a prestito la lingua inglese, mantenendo però inalterata la voglia di “staccare la spina” con la quotidianità, accendendo il meccanismo del ” non ci sono per nessuno, se non per chi io desidero incontrare”. La musica rimaneva una presenza costante, come lo era stata negli anni in cui i critici più snob tentavano di esorcizzare il fenomeno dei tormentoni definendolo musicalmente svilente. Convinzione forse condivisibile da un punto di vista prettamente artistico, ma che non faceva i conti con il “bisogno” sociale di identificare sensazioni semplici e diffuse lasciandosi “cullare dalle onde del mare” o tuffandosi “con la testa all’ingiù” o scrivendo “t’amo sulla sabbia”. Oggi in spiaggia c’è chi si tuffa nei grafici di borsa che, dato il loro andamento altalenante, sono divenuti le nuove onde cercate dai surfisti dell’economia. Non a caso il redivivo il tormentone di quest’estate (ammesso che esista ancora un tormentone che non sia quello dei giornalisti che…esagerano sempre un po’) si intitola “I need a dollar” ( “Ho bisogno di un dollaro”). Lo canta un certo Aloe Black, che di esotico e di estivo ha mantenuto solamente il nome, molto simile a quello di una crema solare.