“Senza uscita” è il titolo dell’album dei Tiro, dieci tracce di rock che qualcuno vorrebbe “alternative”, ma che in realtà di alternativo ha poco ed anzi, riascoltando alcuni brani, cresce vieppiù la sensazione del “già sentito”.
Musicalmente non esce dai canoni abituali di certo rock, molta chitarra, molta batteria, suoni tutto sommato abbastanza puliti e, dettaglio non trascurabile, che non soffocano la voce. Sul cantato avrei qualche riserva in più: intanto sul modo di cantare, sentito e strasentito; è da alcuni anni che pare che per un certo tipo di rock band il cantato sia quanto di più omologato ed omologabile ci sia al mondo. La “e” aperta sino a scoperchiarsi, voce tirata, ma senza troppa estensione, insomma una mancanza di personalità che purtroppo incide in modo decisivo sul prodotto finale. Le canzoni sembrano pensate per una dimensione live un po’ confusa come lo sono speso le dimensioni live rock di questi tempi (va detto che la band vanta un bel circuito di concerti dal vivo), i testi mettono a nudo disagi reali ed immaginati, da quelli più banali racchiusi in una storia a due, sino ai grandi temi dell’umanità e dell’infinito. Testi non eccelsi, che spesso hanno il limite di non costruire una storia, ma di fiondare chi ascolta in una situazione che dà per scontato un vissuto non narrato. Senza entrare nel merito di ogni singolo brano (purtroppo la poca originalità del progetto non è molto incoraggiante in tal senso) si approda alla fine pervasi da una sensazione di scarsa empatia con quanto ascoltato, soprattutto perché non rimane nella mente un brano in particolare, non un passaggio più significativo di altri. Si ha la percezione della ferma volontà di trasmettere qualcosa, di recare un messaggio, di manifestare con la musica, almeno in certe fasi, un dissesto esistenziale per altro comune e diffuso tra le generazioni più giovani. Ma gli intenti tradotti in canzoni “arrivano” poco e quel che arriva non porta un’aria nuova.