Ho tra le mani, confezionato con un accuratissimo ed accattivante package, l’album di Marco Cantini, “La febbre incendiaria”. E’ un lavoro particolarissimo, un concept liberamente ispirato da “La storia” di Elsa Morante, un cd, leggo, “per recuperare una coscienza sociale e civile”. Di fatto è un lavoro storico/politico o politico/storico, a seconda di come lo si vuole guardare. Noi non sposiamo alcuna causa in ottemperanza ad una linea editoriale che ha posto sin dall’inizio la musica al di sopra ed di fuori di ogni appartenenza. E quindi di musica parleremo. Pur con la consapevolezza che in un lavoro come questo i testi rappresentano un elemento di fondamentale importanza, baderemo comunque essenzialmente alla narrazione storica in essi contenuta, senza bandiere. Ci associamo invece all’omaggio a Claudio Lolli, come chi ha realizzato questo progetto, conservandone un ricordo personale scaturito da un incontro che mi rivelò una persona di grande umiltà, di grande saggezza e di grande spessore artistico.
L’album si apre con “Ida in lotta”, che ripropone la figura della maestra elementare Ida Ramundo ed i suoi affanni quotidiani in una Roma invasa dalle truppe naziste. La voce di Cantini emerge subito, chiara e decisa, come l’ottima parte strumentale che in questo brano mette in rilievo l’hammond di Lele Fontana ed il violino di Francesco “Fry” Moneti; discorso diverso per il testo che, come in tutte le quattordici tracce, è vera e propria narrazione, il che impone a tratti una faticosa linea melodica ed una metrica non sempre agilissima. “Manonera” è la storia di un reduce del Don gravemente mutilato, la canzone-narrazione assume un’efficacia particolare perché tratteggia un personaggio ed una situazione come sempre più raramente capita di riscontrare nelle canzoni degli ultimi anni; il brano ci fa conoscere anche la fisarmonica di Roberto Benvenuti e la tromba di Nicola Cellai in un contesto vagamente ska. “Un figlio” è una ballata ed una sorta di inno alla giovinezza; è però anche riflessione profonda in cui gioca un ruolo importante il suono intenso del pianforte di Lele Fontana. Con “Classe operaia” entriamo nella fase più “politica” del progetto, incontrando la figura del giovane Davide Segre tratteggiata con le tinte cupe delle fabbriche di un tempo; una ballata sempre punrualissima negli arrangiamenti e con le note dell’eccellente sax di Claudio Giovagnoli. E si prosegue con “Classe borghese”, in cui è sempre lo stesso Segre che rifiuta la borghesia del proprio contesto familiare enfatizzando la classe operaia di cui sopra; qui la metrica e la linea melodica a tratti vacillano proprio per effetto di una narrazione più complessa da cantare; provvidenziali gli ottimi arrangiamenti e l’intenso violoncello di Andrea Beninati. Ed eccoci a “L’anarchia”, brano con il quale prende ritmo il percorso musicale di questo cd con suoni che ci portano a tratti a quelli balcanici; il testo è colto, non fruibilissimo, ottimo il violino di Gabriele Savarese. “Anaciclosi” non è una brutta malattia, ma la narrazione degli ultimi giorni di occupazione tedesca a Roma dove tutto è distruzione e disperazione; il già citato Davide cerca di concionare gli avventori di un’osteria sui temi dell’anarchia, che non sembrano interessare troppo e di lì a poco morirà di overdose (capitava anche allora); si tratta di un brano intenso nel quale emergono le chitarre di Roberto Galardini, il sax di Giovagnoli e la seconda voce che è quella di Serena Benvenuti. “Il potere” è un’altra ballata ben interpretata che scorre come un film a riportarci all’episodio iniziale del libro della Morante laddove si narra del soldato tedesco Gunther assunto ad emblema dell’orrore, lo sfondo è drammatico ed il brano chiude quasi con un sussurro. “L’orrore” è la violenza di Gunther su Ida, che rimarrà incinta; la canzone apre con un bell’avvio del violino di Moneti e molto bella è anche la chitarra di Galardini che pare dialogare con la voce di Cantini; molto gradevole in questo caso anche la linea melodica. E si approda a “Luglio ‘43”, cioè lo sbarco degli alleati in Sicilia ed i bombardamenti che coinvolgeranno Ida ed il suo figlioletto, musicalmente pregevole il brano in cui violoncello e sax danno colore alle emozioni e superbo sempre il sax nel finale con un sospiro di hammond a fargli da sfondo. “Ceteri desunt” è una storia di deportazione con un’introduzione di pianoforte (Gianfilippo Boni) molto coinvolgente; buono l’arrangiamento, metrica nuovamente un po’ in affanno. “Nel rifugio, l’idea” colloca Davide Segre nel 1943 nel rifugio di Pietralata ove rilancia la sua propaganda anarchica, viene arrestato, riconosciuto come ebreo latitante, caricato su di un treno merci di deportati dal quale riuscirà a fuggire; la canzone in sé non è gran cosa non fosse per l’ottima armonica di Stefano Disegni. E ci si avvia alla conclusione con “Dell’inizio e la fine” in cui Ida trova in casa il figlioletto morto ed impazzisce rievocando nella sua mente le scene e le tragedie della storia umana; intensa e bellissima la musica (forse uno dei brani musicalmente migliori del’album), sul testo qualche perplessità perché frasi come “…Senza più dono o follia. Nei prati prossimi alla città. Ovunque rotolerà lontano quel punto d’incontro di ogni male. Il flutto disumano. Il sogno. L’immane” anche per una canzone impegnata sono un po’ troppo. Si chiude con “La Storia”, quella che secondo la Morante culmina nel “punto di orrore definitivo” e che secondo noi lascia in un’ultima traccia una buonissima sensazione musicale, ancora con il sax, ancora con il panoforte, ancora con l’hammond e, nel testo, una verità assoluta: “La Storia è il solo giudice”. E’ quello di Cantini un lavoro ciclopico, vissuto, pensato e scritto con grande passione e slancio. “La febbre incendiaria” è un album a sé stante, in cui la musica incontra le parole, musica raffinata e parole colte per un prodotto a fruibilità limitata, assolutamente a dimensione teatrale (non riusciremmo ad immaginare una dimensione live diversa di questo lavoro). Ottimi gli arrangiamenti e a tratti straordinari i musicisti che hanno accompagnato Cantini in questa fatica che, senza entrare nel merito degli ammiccamenti politici che non ci riguardano, ha saputo cantare “La Storia” con voce ferma e quasi sempre con ottime soluzioni musicali. (Marco Cantini – “La febbre incendiaria” – RadiciMusic Records)