CARACAS, UN MONDO DI COLORI

I Caracas sono Valerio Corzani e Stefano Saletti ed il titolo del loro album è “Ghost Tracks”. Undici tracce che scandiscono un percorso multietnico come raramente accade di incontrare. Una tavolozza dai mille colori, con un plotoncino di collaborazioni di primissimo piano che rendono il progetto ancor più accattivante.

Dal punto di vista strettamente musicale, al di là della multietnicità, non si può dire che vi sia un vero e proprio filo conduttore, ma sin dal primo brano, “Dub Senset”, realizzato con la partecipazione di MisTilla, ci si accorge di avere a che fare con musica di qualità, pur prescindendo dalla soggettività delle preferenze di ognuno. Dopo il primo brano in inglese, i Caracas con Momo Said approdano ad un raggae in salsa araba, “Raiss…”, per poi tuffarsi in una cover, l’unica dell’album, che ripropone unl successo di Loredana Bertè, “E la luna bussò”, eseguito dal duo senza altre partecipazioni e nel pieno rispetto di quella che è la struttura musicale del brano. Si prosegue poi con “Senza rumore” in cui si respira aria partenopea con il leader degli A67, Daniele Sanzone mentre “Habibi” reca l’intervento del senegalese Badara Seck che porta una ventata intensa della sua Africa. Si torna poi in Italia, più precisamente in Piemonte, con “Chila” eseguita con l’intervento del fondatore e leader dei Mau Mau, Luca Morino. E arriviamo a “Senza ventu”, brano con testo in reatino e voce di Eugenio Saletti con Nando Citarella, anche lui alla voce ed al marranzano. Molto interessante ed incisiva la voce dell’italo-somala Saba Anglana in “Amharic Fever” che nella sua lingua natale narra la storia fiabesca e misteriosa di un essere che ruba il calore del sole. Una storia d’amore difficile è invece quella che troviamo in “Fiele”, che si avvale della collaborazione di Canio Lo Guercio che canta in affannoso napoletano un brano che musicalmente può essere sorprendente o suscitare qualche perplessità. E si va a chiudere con “1861” che vede la partecipazione del rapper Fido Guido, pugliese che nella sua lingua ha qualcosa da dire sui principi dell’unità d’Italia vista in ottica meridionale, assecondato al violino dall’ottima Erica Scherl mentre per l’ultimo brano si vola nuovamente lontano, in India, con “Spicy Elephant” e la cantante indiana Tritha Sinha che reca le modulazioni vocali proprie della sua terra; la tromba impetuosa di Sergio Vitale fa il resto. Come si diceva in apertura, più che una valutazione sulle caratteristiche musicali di ogni singolo brano, l’attenzione viene captata dal progetto nell’internazionalità della sua dimensione, quasi a voler rimarcare che ogni lingua, ogni dialetto (financo il piemontese, che certamente è pochissimo diffuso in ambito musicale) possono farsi portatori di un’appartenenza a quel “villaggio globale” che è quello della musica, ove non è importante capire ogni vocabolo per sentire le emozioni. Musicalmente le undici tracce non hanno cedimenti e gli arrangiamenti sanno cogliere lo spirito di ogni canzone, senza cedere mai alla stanchezza. In questo è decisiva la tavolozza di note colorata con tanti colori del mondo.

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