Alla vigilia dell’uscita del nuovo album “Traumsender”, abbiamo scambiato qualche parola sulla musica, sui sogni e sulla vita con Dimitri Niccolai, in arte Tenedle, cantautore fiorentino trapiantato ad Amsterdam.
“Traumsender”, come il suo predecessore, trae innesco da una suggestione letteraria. Puoi raccontarci la gestazione del progetto?
Questa volta più che letteraria si tratta di una passione per un mondo visivo, pittorico, grafico e cinematografico. L’ispirazione è stato l’Espressionismo, prevalentemente quello che ha preso forma in Germania all’inizio del ‘900. Sono anni che nelle mie visioni c’era l’idea di fare un adattamento teatrale di “Der kabinet das doktor Caligari”, film che vidi per la prima volta a 19 anni e che indusse la mi band “Laughing Silence” a cambiare nome in “L’Esperimento del dottor Caligari”. Il nostro lavoro più importante è stato firmato con quel nome e io venni presentato addirittura come “Dimitri Caligari” ad un paio di festival; ci sono registrazioni…
Scrissi anche una canzone chiamata “Salva Cesare” (ecco del pane per i curiosi: di quale Cesare parlo?). Quando ho capito che l’adattamento teatrale era una follia, ho cominciato a coltivare l’idea di legare la visione a questo disco (fare dischi è una follia che ormai ho imparato a mettere in atto). Ovvio che in quel periodo leggessi anche Kafka ma sono più i dipinti di Von Jalewnsky, o Kirchner, o Macke, che hanno generato le figure stavolta…Ho lavorato “da espressionista” quindi, cercando di rendere estremo ogni aspetto delle visioni della realtà. Il titolo in teoria non appartiene a questo contesto ma ha avuto un’importanza fondamentale nella direzione da percorrere. Il termine “Traumsender” l’ho trovato in un libro di Jaques Le Goff, “L’immaginario Medievale” dove in una sola pagina vengono citate con una spiegazione minima figure a cui l’uomo medievale avrebbe attribuito l’origine dei sogni. Tutto qua, pochissimo, tre righe, ma perfetto, abbastanza “vuoto” per costruirci un mondo intero…. Cosi sono partito. Stavolta i testi sono miei e non sempre sono necessariamente espressionisti, tantomeno la musica, che semmai tocca momenti techno, non certo primi ‘900. Ma la parte visuale, visiva, e’ tutta in bianco e nero e riferita a quei giorni…
Quanto ha contato il tuo precedente lavoro sui testi di Emily Dickinson nella scelta di scrivere il nuovo album in lingua inglese?
Ha contato solo per il fatto che se doveva accadere, per coerenza ed evoluzione “naturale”, sarebbe dovuto accadere dopo un disco in inglese. La mia esigenza di fare ordine è quasi “autistica” e a volte la scelta non so è rivelata facile. Solo poche stagioni fa asserivo, e ancora lo penso, che l’italiano fosse una lingua bellissima; sono assolutamente felice di quello che ho scritto in passato, ma aver realizzato e cantato “Odd to love” probabilmente mi ha fatto riassaporare un’altra bellissima ed antica lingua, che usavo peraltro da musicista giovane e con la quale mi sono formato. Le mie influenze musicali maggiori sono anglofone e ormai sono anni che mi circondano molte più persone che non parlano italiano. Nella decisione ha inciso sicuramente di più il desiderio di evolversi e di comunicare in modo diretto ad individui di altre culture, fermo restando il continuare a scrivere i propri concetti, contenuti, senza nessuna concessione, sia chiaro. Poi c’e il mio rapporto con l’Italia di oggi, ma è argomento su cui perderemmo tempo e preferisco sorvolare.
In termini strettamente tecnici, l’adozione di una lingua differente ti ha in qualche modo obbligato ad un approccio nuovo alla scrittura sia letteraria che musicale? Si ritiene che la generosa disponibilità di monosillabi dell’inglese consenta sulla metrica un margine di manovra più ampio…
Non necessariamente; ho scritto e musicato testi in italiano, inglese e olandese negli ultimi anni, testi miei o di altri (per il Premio Ciampi, ultimo esempio lo scorso novembre, “Ha tutte le carte in regola”, non cosa da poco) e la padronanza “letteraria” ormai è discreta. Quindi concettualmente tutto quello che è fissato su carta, nella forma, è quasi traduzione letteraria di quello che avrei scritto in italiano. Ho cominciato a scrivere “Traumsender” a fumetti, disegnando più che usando parole… Credo di aver confessato proprio a te ai tempi di “Vulcano” che desidero sempre di più ridurre il testo all’essenziale. Non è detto che l’uso dell’inglese colmi questo bisogno e comunque non ho sentito questa differenza. Musicalmente parlando, l’inglese aiuta certamente con metrica e ritmo, ma non ho cercato strade facili neanche qui, dopo la ginnastica fatta con Emily Dickinson. Non credo che nessuno possa dire di notare un Tenedle diverso: “Traumsender” è un disco al 100% nel mio stile; suono, melodie, ritmica e concetto, solo in un’altra lingua; ovviamente con qualche piccolo azzardo, ma soprattutto “musicale”.
Nei tuoi dischi si avverte l’equilibrio di due forze: una verticale orientata verso un’urgenza di spiritualità, e una orizzontale, terrena, che scorre sotto traccia come un bordone di inquietudine. La musica ti ha aiutato a capire qualcosa della vita?
Se rispondo con la parte “verticale” direi di no, mentre se uso quella orizzontale, beh… allora… men che meno… La musica mi ha aiutato a volte ad accettare cose che la vita impone, senza nessuna pietà; quando si scrive si scaricano alcune tensioni: la creatività, l’ispirazione, la pace in cui ti trovi quando canti e suoni, specialmente da solo, sono una forma di meditazione, uno stato di grazia e beatitudine, ma fuori dal mondo… Purtroppo, pur “curando” me, non mi aiutano a risolvere tante cose attorno, quindi la vita “fuori” resta una frustrazione. Sarebbe un meraviglioso dono, ma è impensabile essere completamente felici sapendo quante persone non abbiano libertà e felicità a loro volta. Vorrei ribadire che la parte “frenetica” e “nervosa” della mia musica (fondamentale) è spesso più una provocazione (nei testi e nei gesti) che uno stato d’animo “mio” (lo stesso singolo “Sentenced to death”, che musicalmente adoro, è un’assoluta provocazione, non necessariamente il mio “stato”)…
“Traumsender” ha un respiro unitario ma, al tempo stesso, è percorso da numerose correnti, anche grazie al contributo dei molti ospiti. Come sono nate queste collaborazioni? Il loro orientarsi verso un flusso comune di pensiero e sentimento è stato un processo naturale o guidato da te?
In genere sono io che guido, quando chiedo la partecipazione di ospiti, soprattutto voci, ho già chiaro il progetto: la canzone generalmente è quasi finita, ci sono le melodie e anche il suono. Mi lascio però l’effetto sorpresa; ho imparato dai tempi di “Grancassa” a gustarmi questi contributi ed ogni volta ritaglio nei brani che immagino “adatti” la partecipazione dei miei ospiti. La vera novità in questo disco sono le due voci maschili, Edoardo Bacchelli (Piccoli animali senza espressione) e Gabriele Marconcini (Mergin Cluster), ma tutte le voci sono “una novità” per quanto riguarda la collaborazione. Debora Petrina, Jolanda Moletta (She Owl), Susanna Buffa e la bravissima Laura Taviani. L’idea e’ la stessa: cercare (tra gli artisti che stimi ed hai conosciuto, celebri o meno) il brano giusto, assolutamente indipendentemente dal loro stile, spesso diverso dal mio. Questo secondo me aggiunge e spersonalizza il mio punto di vista. Naturalmente c’e’ ancora Bert Lochs (Braskiri) e la sua incantevole tromba, forse meno presente stavolta, ma in tre momenti che sono secondo me tre momenti di vera emozione. Queste sono le cose per me inaspettate appunto… Provo una gratitudine infinita per tutti coloro che hanno lavorato con me in passato e per le splendide persone e personalità che continuano ad arricchire i miei dischi.
Dove potremo vedere e ascoltare “Traumsender” dal vivo?
In Italia, subito, il giorno dell’uscita del disco, il 2 marzo, suono a Livorno, città che mi ha ormai adottato con un sacco di amici, poi il giorno dopo nella mia Firenze. Quindi la prima parte del tour prosegue fino ad Aprile tra Lussemburgo, Germania (Saarbrucken) e Olanda (Haarlem , Leeuwarden, Sneek e Amsterdam). Poi ci sono in via di definizione un festival a Torino in estate, un’altra data ad Amsterdam in giugno, il ritorno a Barcellona in autunno e, sempre in autunno, un data a Bath (la città di Peter Gabriel); questo per ora, ma stiamo lavorando per realizzare un mini tour; ho idea che presto annunceremo anche la prima volta a Londra… Suoneremo questa dozzina di date con una performance molto incentrata anche sulle immagini… Dove possibile si uniranno anche gli ospiti del disco.
La tua natura vulcanica mi fa pensare che tu stia già mettendo idee in cascina per il prossimo progetto. È così?
Non è la mia natura che è vulcanica, ma il mondo che è noioso….Pubblicherò un “greatest hits” ricantato in inglese con tutti brani rimasterizzati ed in parte riadattati, poi un remake elettronico di “Sergent Pepper’s” dei Beatles, ri-registrero da capo, appena libero dalle edizioni, il mio disco d’esordio “Psicfreakblusbus” anche questo in versione elettro, farò un disco sulle poesie di Carver, con suoni ambientali registrati sulle isole frisoni, a Natale 2018 probabilmente, se nevica, un progetto minimalista sulla “neve” appunto, poi una decina di dischi ancora, se riesco…