“NOTTETEMPO” MATTIA AMATI SCRIVE IL SUO PRIMO ALBUM

E’ di questi giorni l’uscita del nuovo album di Mattia Amati, “Nottetempo”. Amati, che in realtà di cognome fa Passerini, è un cantautore toscano che deve tanta parte della sua passione per la musica ai genitori i quali, sin dalla tenera età, lo abituarono ad assistere ai concerti di grandi cantautori italiani. Il suo decollo artistico avviene nel 2019 con la pubblicazione del suo primo singolo intitolato “Ancora un po'” e poco dopo arriva la pubblicazione dell’Ep “Fermo immagine”; segue un successivo Ep e nel 2023 inizia la lavorazione di questo album, anticipato dall’uscita di alcuni singoli.

“Nottetempo” è un progetto racchiuso in dieci tracce dove mi vien da dire che c’è quasi tutto ed il contrario di tutto; alla fine dell’ascolto il bilancio è comunque positivo, ma non largamente positivo. Cercherò di spiegare: Mattia scrive dei bei testi, lo si evince sin dalle prime canzoni, c’è in quel che dice un buon afflato poetico e spicca anche un certo spirito fi osservazione del mondo che lo circonda; aggiungo che alcune (ma solo alcune) delle canzoni contenute nell’album presentano a tratti intuizioni musicalmente interessanti che però quasi mai trovano continuità, ma dimostrano che chi ha lavorato a questo progetto ha delle potenzialità rimaste forse un po’ inespresse.  Va inoltre riconosciuta a Mattia una buona personalità, non cerca di somigliare a nessuno e canta con buona disinvoltura (talvolta anche troppa). Che significa? Voglio dire che Mattia non può giocare le sue carte migliori con la voce, che è un po’ appannata (anche se oggi usa così) ed ha una tavolozza complessiva di tonalità piuttosto limitata. Altro aspetto che rientra nei chiaroscuri di questo lavoro è il fatto che, se è vero che non vi sono tra i dieci brani ascoltati deragliamenti vistosi, a parte forse “Roberto” (accade spesso negli album degli artisti emergenti, ma anche in quelli di artisti di prima fascia che inseriscano nei loro dischi un paio di brani più fragili, quando non scademti; è un fatto quasi fisiologico), è altrettanto vero che non vi è il brano che faccia sobbalzare sulla sedia perchè i due pezzi migliori, che per me sono “Un domani in forse” e “Cemento”, sono canzoni piacevoli, ben costruite, fruibili, ma non hanno nulla che incanti. Ciò significa che alla fine dell’ascolto rimane la sensazione di avere sentito qualcosa di buono, di essersi a tratti distratti un poco e, soprattutto, di non avere trovato un brano-chiave, di quelli, per intenderci, che un tempo inducevano ad acquistare un 33 giri (ai tempi del vinile) o un cd poi, per avere quella sola canzone. Come dicevo in apertura, una sufficienza stiracchiata, ma non una votazione brillante.

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