“Canzoni in ritardo” di My&scort si presenta con un package straordinario, bella la copertina, bellissime le immagine contenute nel libretto con i testi (immagini che alternano fotografie a dipinti, le prime di Luigi Pietro Scantamburlo, i secondi di Alice Boni). Una presentazione da gran parata per un prodotto che però mostra presto i suoi limiti, nonostante lo schieramento di musicisti che hanno collaborato alla realizzazione dell’album, in alcuni frangenti recando un apporto indubbiamente di ottimo livello.
Ma, a fine ascolto una domanda si pone ed è, purtroppo, di questi tempi, piuttosto ricorrente. Ci si crede oppure no nei testi che si scrivono? Perchè, nel primo caso, logica conseguenza sarebbe la loro valorizzazione; diversamente, a meno di considerare oggetti distinti il libretto ed il cd, non ha alcun senso scrivere testi interessanti e poi soverchiarli con la musica. Ed in questo album, purtroppo, avviene con eccessiva frequenza. Volendo escludere le infantili furbate delle band di tanti anni fa, che si chiamavano complessi e che, eccitati da amplificatori sempre più sofisticati, godevano dei loro frastuoni, non rimane che pensare ad una errata valutazioni dei livelli. Il problema si pone sin dal primo brano e si ripete spesso in quelli successivi. Non in modo continuativo, ma quasi sempre nel momento in cui il brano “cambia marcia”, crescendo. “Riflessi”, il primo brano, è una canzone che si presenta in fase iniziale con una ritmica da tempi del “beat”, poi poi sfociare in una dimensione più contemporanea. “Un semplice addio” ha un testo chiaramente pensato ed elaborato, ma non valorizzato come avrebbe potuto, pur senza voler demonizzare un arrangiamento musicalmente di buon livello. “Privè” è una canzoncina originale con un testo agile e divertente che prende le distanze dal resto del lavoro, pur senza mai tradursi in un qualcosa di straordinario. “Qualcosa che non c’è” è un altro brano caratterizzato da un testo interessante, a più riprese soverchiato mentre “Un posto per noi” si candida per essere considerata la canzone più bella dell’album, anche se persistono dubbi sul “confezionamento” del pezzo. In “Foglie di nebbia” la voce di Alessio “Viz” Montagna assume i contorni ed i colori delle voci più trendy di questi anni, che hanno la curiosa particolarità di somigliarsi anche e, talvolta, soprattutto, nella pronuncia delle vocali. Molto buono ed interessante il ritmo de “L’equilibrio” così come scorre via senza sussulti “Rimango ad aspettare”. Giunti a “Sabato”, la penultima delle dieci tracce, si comincia ad avere la sensazione poco gradevole che questi brani abbiano un che di ripetitivo, un qualcosa di diverso dalla cifra artistica che dovrebbe rendere riconoscibile una voce ed una band, ancor più se alla ricerca di un’affermazione. E si chiude con una canzone che è quasi evocativa di quanto appena detto, “Le cose non cambiano mai” che, detto per inciso, è francamente la canzone peggiore dell’album. Senza disfattismi, sarebbe ingeneroso oltre che falso sostenere che questo lavoro volge tutto al negativo. Ma c’è molto, moltissimo da lavorare. Forse proprio cominciando a chiedersi ciò che si vuole davvero, perchè anche i testi più belli dello stesso Montagna (autore praticamente di tutte le canzoni dell’album tranne “Riflessi” e “L’equilibrio”) vengono ripetutamente soffocati da un’enfasi musicale talvolta davvero eccessiva o, se vogliamo, da una pienezza di note che fa vistosamente a sportellate con la voce.