Alcune settimane fa è apparso su “Il Fatto Quotidiano”, un articolo nel blog della giornalista e scrittrice Valeria Gandus, dedicato al programma XFactor.
Il pezzo, peraltro gonfio di pesante ironia contro la giurata Annamaria Tatangelo, partiva con l’esortazione ai giudici a non utilizzare più il sostantivo “emozione” ed il verbo “emozionare” nell’esprimere i propri giudizi sui brani musicali ed i loro interpreti. Di più: la signora Gandus deplorava la loro (cito testualmente) “insopportabile prevalenza del ragionar di pancia”, colpa – secondo lei – imperdonabile.
La nostra opinione sul valore dei cosiddetti Talent Show come X Factor e similari non è notoriamente positiva. Sospendiamo inoltre ogni considerazione sullo spessore culturale, artistico e personale della signora Tatangelo: non sono argomenti in discussione in questo frangente. Leggiamo nelle note biografiche che la signora Gandus si è in passato occupata di musica, in particolare di jazz. E forse qui sta la chiave di lettura del suo giudizio nei confronti… dei giudici.
Il jazz è infatti uno degli ambiti musicali nei quali l’apprezzamento per la tecnica d’esecuzione, il virtuosismo, al di là dell’aspetto emozionale del brano, è particolarmente sentito. Non ne sono esenti nemmeno altri settori dell’arte musicale, come la classica, un certo rock e persino il pop, che negli ultimi anni ha visto promuovere diversi interpreti forniti di grandi doti canore, ma di scarsa capacità di trasmettere emozione.
Sì, Emozione. Proprio lei. Perché a nostro parere, piaccia o meno, proprio l’emozione è la base di tutto, il perno attorno al quale dovrebbe ruotare ogni tipo di attività artistica.
Perché si fa musica (o si dipinge un quadro, si scrive una poesia, un romanzo…) se non per esprimere, trasmettere delle emozioni?
E se siamo d’accordo sul fatto che una rigorosa preparazione tecnica sia assolutamente necessaria per essere in grado di far ciò, siamo anche persuasi che tale tecnica sia uno strumento al servizio della creatività e dell’emozione. In altre parole, non il fine, bensì il mezzo. Puntare l’attenzione più sulla tecnica che sulla capacità di suscitare risposte emotive, equivale ad osservare il proverbiale dito, anziché la luna che sta indicando.
La prestazione funambolica del virtuoso può lasciare stupefatti ed ammirati per la padronanza tecnica, per l’abilità nell’uso della voce o di uno strumento, anche se spesso ciò si risolve in una fredda esibizione di destrezza.
Ma è piuttosto un’interpretazione sentita, magari sofferta e a tratti imprecisa, a suscitare una risposta nell’ascoltatore, a far recepire ciò che l’autore provava e voleva trasmettere nel comporre una melodia, un testo, un brano musicale. La tecnica è utile, ma l’emozione è indispensabile, perché della musica e dell’arte è la fonte primaria, nonché lo scopo ultimo.