“Plastica” è il titolo del nuovo album de Il Grido, rock band romana costituitasi nel 2014 che ha alle spalle tantissimi live, l’apertura di alcuni importanti concerti (Stato Sociale, Omar Pedrini, Marta sui Tubi ed altri), un Ep ed un album pubblicato nel 2017. Cinque anni dopo la band si ripresenta con queste dieci tracce che ne confermano la solidità ed una buona musicalità, convincendo però solo pazìazialmente all’ascolto, lasciando intravedere la propria vocazioni (come di tanta parte delle band) che è quella della dimensione live, ove anche brani che al solo ascolto possono non lasciare traccia, dal vivo trovano invece una loro diversa fruibilità.
E proprio a proposito di fruibilità, l’album inizia piuttosto bene con “Povera ma sexy”, canzone musicalmente robusta, con un ritornello che arriva e che, appunto, fa ensare subito ad una dimensione live certamente assai più diretta ed efficace. “Plastica” è il brano che dà il titolo al progetto, dinamico e ben strutturato, ma con una potenzialità di coinvolgimento che va un po’ in salita. Di “Notte” colpisce la ricercatezza del testo (vi sono un altro paio di canzoni nel cd che rivelano un’accuratezza particolare nella loro dimensione teastuale), ma la linea melodica non è gran che, il cbe attenua un poco l’effetto, nonostante il buon arrangiamento. E convince ancora meno “La differenza” anche se la dimensione musicale non è tutta da buttare e ha una sua fruibilità, nonostante il testo non troppo felice. “Inno” passa senza lasciare tracce evidenti ed allo stesso modo se ne va “Kintsugi” mentre si fa decisamente più interessante l’ascolto di “Maledetto me”, un brano ben ritmato, fruibile e ben eseguito. Molto bene anche “Un bicchiere in più” che rivela una voce pulita e diretta, un piacevole andamento lento ed una linea melodica che “arriva”; un brano insomma che mette in luce meglio di altri le potenzialità della band, un po’ diluite nell’insieme del lavoro. Buona anche “Smarmello”, soprattutto al punto di vista musicale pur se non vi è nulla di indimenticabile. E si va a chiudere con “Arto fantasma”, uno dei pezzi migliori dell’album che pone nuovamente in risalto voce e testo incorniciati in un più che discreto arrangiamento. Insomma, questo album non è certo un capolavoro, ma è un cd che ha degli elementi di interesse dal punto di vista testuale, musicale ed anche interpretativo. Con chiaroscuri piuttosto evidenti che fanno pensare a potenzilità non del tutto risolte (o forse meglio risolvibili in dimensione live). Per approdare comunque ad una sufficienza, sia pure risicata, che avrebbe forse potuto essere più piena togliendo quel paio di “anelli deboli” che alla fine pesano un po’ sulla media finale.