La scrittrice Dacia Maraini, ospite giorni fa del programma Radio Due Social Club, diceva di avere pubblicato tre libri in un anno, cosa inconsueta per uno scrittore ed ironizzava sul fatto che gli editori oggi richiedono ininterrottamente materiale, andando ad alimentare una iperproduzione non sempre motivata. Accade anche in ambito musicale. Ma con una differenza sostanziale: se Dacia Maraini e quei pochi scrittori che fanno mercato, i loro libri li vendono anche se si tratta di ristampe di opere del passato, il mondo discografico, perlopiù indipendente, mette in circuitazione ogni settimana una produzione ingente di album, ep, singoli di personaggi semisconosciuti o del tutto sconosciuti, destinati a rimanere invenduti. Perché questo accade? Con quale coraggio sedicenti cantanti e musicisti o aspiranti artisti delle sette note oggi si cimentano come non mai con la speranza di approdare ad un improbabile successo? Intanto va detto che sono cambiate le dinamiche di promozione. Un album, un ep o un singolo possono anche rimanere invenduti in versione fisica, ma in digitale potenzialmente fanno il giro del mondo. Che poi ciò avvenga davvero è altra cosa, ma non vi sono dubbi che la vetrina virtuale di internet è immensa, chiunque può accedervi senza alzarsi dal divano del proprio salotto. Come è evidente la ricerca di dimensioni sempre nuove, sorprendenti, stimolanti, che inducono molti a proporsi in modo a dir poco improbabile con la speranza di un “bingo”, una di quelle combinazioni che magicamente trasformano una stupida proposta in un’interessante offerta. Accade molto raramente, ma accade. Certo, rispetto al passato, l’iperproduzione coincide con un’incessante sovrapposizione. Non si ha il tempo di accorgersi di un brano, di un artista, che subito ne arriva un altro, altri dieci, altri cento, nel volgere di poche ore o di pochi giorni. Non c’è più il divismo, cioè uno dei requisiti dei grandi fenomeni del passato, ma non c’è neppure più il tempo di riconoscere e ricordare. C’è invece una grande omologazione: rapper tutti uguali, nell’impostazione vocale ma anche nella gestualità, rock band dal sound uniformato, cantautori che non raccontano storie, ma sensazioni. Tra social network, talent show, concorsi vari (si moltiplicano anche i festival in ogni angolo d’Italia), un minuto di celebrità o, almeno un applauso, non lo si nega a nessuno. Ma a farcela davvero sono in pochi. A dire di poter vivere di sola musica, sono in pochissimi e spesso chi lo fa opera nelle retrovie di un mondo che offre moltissimi riflettori ma pochissime chances. Eppure, rispetto a qualche decennio fa, i ragazzi che si accostano alla musica e lo fanno passando attraverso studi seri, sono sempre più numerosi. Lo studio ed i percorsi ad ostacoli fatti di stage e master sono sempre più ricorrenti nei curriculum di tanti aspiranti al successo. Ma è venuta meno, troppo spesso, l’anima. Sono venute meno le emozioni e la spontaneità, quelle percezioni magiche ed inspiegabili che portarono a suo tempo Gino Paoli a sedersi al pianoforte ed a strimpellare “…quando sei qui con me…” facendone una canzone d’immenso successo e senza tempo. Oggi, per molti la musica è una scommessa persa in partenza, confinata nei riflessi di un cd ed in un millimetro di Spotify.
Giorgio Pezzana