“DanzaFerma” è il titolo del nuovo album di Gianluca Secco, cantautore friulano che, dopo avere ascoltato le sue undici nuove tracce, non stupisce che nel 2016 abbia ottenuto il Premio Tenco-NuovoImaie per la migliore interpretazione. Siamo alle prese con un lavoro che non cerca facili consensi e neppure va a caccia di una banale fruibilità. Ascoltando Secco pare di immergersi negli antri fumosi di quei poeti maledetti che, eccitati dall’assenzio o storditi dall’alcol, scrivevano versi sublimi con i quali gridavano o sussurravano la loro disperazione o la ricerca di altre dimensioni di vita.
Buona parte dei testi di Secco sono ermetici, ma l’interpretazione che egli ne sa dare li colora, li colma di significati. S’inizia con “Sangue”, brano di forte ispirazione tribale che avvolge e si fa evocativa portando la memoria a dimensione remote di prevaricazione e rabbia. “DanzaFerma” è il brano che dà il titolo al progetto, ma non sarà il pezzo migliore che ascolteremo; induce comunque a pensare a quanto rilevante sia lo spazio concesso alla musica in questo lavoro (spesso composta in collaborazione con Antonio Arcieri) pur se costellato da testi importanti. “Di schianto” è un brano di grande intensità proposto in due versioni, la prima acustica con il solo pianoforte che affianca la voce, la seconda con una strumentazione più ampia; personalmente preferisco la prima versione. “Muta” pone in risalto la versatilità di Secco in una dimensione, in questo caso, apertamente rock. “Senza velo” è uno dei brani più interessanti dell’album, musicalmente avvolgente con i toni che si fanno via via più drammatici per poi tornare all’andamento iniziale che pare spegnere il divampare di un fuoco. Molto interessante anche l’andamento di “La rèvolution” cadenzato ed imperioso mentre “Ottobre” è una vera e propria piéce teatrale, un caleidoscopio di immagini, sensazioni, visioni, parole che si inseguono e si ritrovano grazie all’interpretazione di Secco, magistrale come lo è il pianoforte che la accompagna. Torniamo ad occhieggiare al rock con “Pasto nudo”, ma anche in questo caso è sempre la dimensione poetica/narrativa a dominare la scena. Ancora voce e pianoforte per “Aria” ed un testo complesso fatto di immagini colte e cantate. E dopo la seconda versione di “Di schianto” si va a chiudere con un altro gioiello anzi, forse con il gioiello più luminoso di tutto l’album: “Maestro”, scandito da uno splendito testo e da un’altrettanto eccellente interpretazione. Canzoni da ascoltare e da vedere interpretate su di un palco, o immaginate in un contesto poetico impegntivo e trasognante. Un album molto interessante di cantautorato vero come capita sempre più raramente di ascoltare. Uno spessore artistico che va al di là del semplice concetto di canzone e si trasfigura in poesia ispirata e sofferta, mai ostentata. Ed in una dimensione musicale mai prevaricante, ma sempre prezioso supporto che all’occorrenza sa farsi in disparte.