Sara Grillo giornalista pubblicista ed ufficio stampa. Da sempre affascinata dal mondo del giornalismo, diversi anni fa si avvicina alla scrittura occupandosi di Teatro per poi dedicarsi, dopo poco, esclusivamente al giornalismo musicale collaborando a tutt’oggi con diversi magazine. Alla scrittura ha affiancato il lavoro di ufficio stampa come freelance e per l’etichetta discografica Apogeo Records. A chiudere il cerchio, nel 2018, si affaccia nel mondo radiofonico dando ampio spazio alla musica emergente
Da diversi anni lavoro in ambito musicale, da sempre sono appassionata di musica. È innegabile che, pur limitandomi a considerare solo il periodo lavorativo, la musica ha subìto un drastico cambiamento. Le piattaforme di streaming, se da un lato hanno ampliato le proposte da ascoltare, dall’altro hanno inflazionato il mercato discografico consentendo visibilità alle solite major, rendendo difficile – se non impossibile – al circuito indipendente ( artisti ed etichette), di usufruire della vetrina di un colosso come Spotify. È un dato di fatto. Oggi agli artisti importa solo entrare in playlist. L’indice di popolarità è per loro rappresentato da Spotify. E spesso inciampano nell’errore di pagare per garantirsi un posto al sole, nella vana speranza di aumentare follower e streaming. E cosa c’è di peggio nel vendere letteralmente una fittizia popolarità a suon di euro? Penso nulla onestamente. La musica è finita? Quale futuro per la musica? Provo a rispondere secondo la mia esperienza ed il mio punto di vista. La musica non è finita. È cambiata. È stata svilita. È alla mercè di tutti, non c’è regolamentazione: siamo un popolo canterino con tanto ego e poca umiltà. Tutti ci sentiamo in diritto di registrare ( e diciamolo la tecnologia in questo ci viene ben in soccorso), un singolo e caricarlo in rete confidando nella dea bendata che volga il suo sguardo su di noi.
Ma se il popolo canterino è reo di avere un ego smisurato, chi altri dovrebbe recitare un mea culpa? Qui entriamo in un campo minato perché tocca chiamare in causa i pezzi grossi, ossia i talent, le major e tutti quelli che gravitano in ambito discografico.
Qualche talento è emerso dai diversi programmi TV sicuramente ( mi viene in mente Mengoni o i recenti Maneskin), ma molti sono stati delle vere e proprie meteore durate il tempo di un singolo. Questi sono i cosiddetti “personaggi” che entrano nelle “grazie” di un manager che furbamente coglie l’opportunità di sfruttarne quasi sempre la particolarità del personaggio e quasi mai le reali doti canore. Si investe su “tizio” per il tempo di un singolo, arrivano ascolti record in streaming ( e le playlist di cui vi parlavo prima), arrivano le radio, i magazine, i fan.
Tutti contenti, manager, etichetta discografica, artista. Il tutto dura pochi mesi ma poco importa, massima resa minimo sforzo. Si lavora sulla scia della notorietà che ti regala la TV. Oggi c’è “tizio”, domani “caio”, non fa differenza.
La musica corre e bisogna correre con essa dicono quelli “bravi”. Io no, non sono evidentemente una “brava”. Io credo nella MUSICA. Credo nelle parole degli autori e nelle note dei musicisti. Credo nell’alchimia che si crea quando ci si ritrova in uno studio di registrazione per un disco. Credo nelle riunioni per capire come promuovere un lavoro, credo nel non creare false aspettative. E comprenderete, quanto questo mio pensiero si scontri con la realtà di cui vi parlavo qualche rigo prima.
Quale futuro ci sarà per la musica? Credo nessuno possa fare una previsione in tal senso. La sola certezza è che la musica continuerà per sempre a farci compagnia. Forse sta a noi fruitori, imparare a rispettarla e non cadere nella trappola di ascoltare solo le hit del momento ma imparare ad essere curiosi e cercare nell’infinito catalogo musicale qualche perla nascosta.
Riportiamo in auge la musica e non il personaggio.