“Il viaggio di Chinook” è il titolo del nuovo album del cantautore pescarese Amedeo Giuliani. Chi è Chinook? Semplicemente un pesce, quel pesce che comunemente chiamiamo salmone e che compie viaggi avventurosi per dare una continuità alla propria specie. Comicerei dicendo che le dieci tracce di questo album, fatta forse eccezione per un paio di brani dei quali dirò, rappresentano un ottimo lavoro. E ciò noostante la voce di Giuliani, che dice di rifarsi a grandi cantautori quali De Andrè e De Gregori, ma dei quali vocalmente non ha la stessa autorevolezza (soprattutto di De Andrè).
Il primo brano, “Gabbia di vetro”, è forse quello che più degli altri nove suscita legittime perplessità sulla voce di Giuliani, spesso soverchiato dalla musica, pur se non sfugge la dimensione cantautorale, nonostante qualche eccesso di chitarra elettrica che rede quindi poco convincente anche l’arrangiamento. Ma il decollo vero è dietro l’angolo con “Il casellante”, che comincia a mettere in risalto la forza testuale delle canzoni del cantautore (anche se i testi delle sue canzoni sono pressochè tutti scritti in collaborazione con Cesare Zarbo); il brano ha una struttura semplice, qui bene gli arrangiamenti. Molto interessante anche la ballata “Figlio di un’idea”, anche qui con un testo che corre narrando, anche qui in un contesto semplice, con un pianoforte che ad un tratto pare giocare a nascondino con le note. “Neve” mi induce a ribadire che cosa è, a mio avviso, un cantautore: è principalmente uno che racconta, che disegna con le parole emozioni e paesaggi, che fa vivere le proprie sensazioni a chi ascolta e questi aspetti ci sono tutti in questa canzone (con un bel finale in dialetto abruzzese). E ci sono anche in “Luna cubana”, un brano delicato che va ad incorniciarsi in una serie di raffinati arpeggi di chitarra, un’atmosfera latina che si coglie ed a tratti si vive (se non il brano migliore è questa certamente una delle canzoni più riuscite del progetto). “Artista di strada” è una di quel paio di canzoni a mio avviso meno riuscite, dall’andamento molto comune che non riesce a trasmettere gran che e che di poco migliora nonostante un bel giro di note di chitarra elettrica. “Mela acerba” è una garbata dichiarazione d’amore che si riserva anche qualche autodescrizione ironica (“…la speranza dei miei genitori/mi facevan tra i migliori condottieri/medico, scienziato o uomo di legge/triste consolazione almeno è sano di mente…”). “Codice a barre” è il secondo brano che non mi convince, si stacca molto dal percorso dei pecedenti e pare volersi avventurare su di un terreno sul quale mi pare non si senta del tutto a suo agio neppure Giuliani; il brano può risultare musicalmente non sgradevole, ma è privo di personalità. Di tutt’altro spessore “Non aver paura”, canzone palesemente dedicata da un padre al proprio figliolo (e del resto Giuliani dedica l’intero lavoro al figlioletto Fernando) e di particolare intensità nell’esecuzione e nel testo. E si va a chiudere con “Vorrei vedere il mare”, brano il cui testo è pregno di malinconica poesia, forse non del tutto convincente la linea melodica del ritornello, molto buono invece l’arrangiamento. “Il viaggio di Chinook” è un disco che si ascolta con i testi in mano per non perdere una parola, un album che regala momenti di intensità notevoli e che alla fine piace anche per la sua semplicità, per la linearità con cui è stato concepito, senza porsi alla ricerca di un’improbabile originalità ad ogni costo. Una bella boccata di cantautorato vero.