Simone Cozzetto, chitarrista, compositore, polistrumentista ed autore, con il suo nuovo album “The weight of the wind”, non si è limitato a mettere insieme dieci tracce fatte a forma di canzoni, ma ha realizzato un’opera monumentale che a tratti pare un film fatto di musica e suoni. L’opera monumenale di per sè, può non coincidere con i canoni di un bel progetto. Esistono monumentali banalità, in musica come in qualsivoglia altra arte. Ma qui, al cospetto di questo lavoro, il concetto di “monumentale” assume tutte le forme e tutta la potenza della celebrazione di un lavoro grandioso.
Questo è un album impegnativo, che richiede un ascolto assiduo senza distrazioni e senza pause. E’ un album senza tempo, ma se proprio un tempo glielo si vuole trovare, allora si deve forse guardare alle opere rock di qualche decennio fa. Cozzetto con questo lavoro ha voluto ripercorrere musicalmente lo scampolo di un percorso esistenziale difficile. Lo ha fatto con una musica che respira i suoni delle ansie, della speranza, dei silenzi, delle attese, della forza e con le allegorie come quella di quel “Lucifer”, preso come punto più basso al quale un uomo può approdare. L’album si apre con “The descent”, preludio di meno di un minuto perlopiù vocale che ci accompagna a “The bliss”, brano strumentale che si annuncia con un pianoforte, che poco dopo si fa raggiungere da un violino che dà profondità e struggimento prima di lasciare a espansioni musicali più ampie la sua suggestione e farci ritrovare, ancora, un pianoforte sospeso. “Nihil” è un brano di grande respiro in cui la chitarra elettrica prepara il terreno alla voce per trovare poi una profondità strumentale, sino a quando sarà ancora il pianoforte a gestire con la voce l’ndamento finale. “Cold and sweet” ha i contorni di una canzone più strutturalmente tradizionale, ma con arrangimenti che ne amplificano i toni e la drammaticità. “The shadows” pone l’ottima voce come antespazio ad una chitarra elettrica sontuosa (ma non si perda mai l’estro di una batteria che anche in altri brani saprà andare ben oltre la ritmica) e qui si accendono e si spengono sensazioni come fuochi d’artificio. “Lucifer” come abbiamo detto è un brano simbolo, musicalmente bello. E grandi aperture troviamo anche in “The weeping willow”, musicalmente suggestivo, ma nche vocalmente molto interessante con il contributo di un chitarra entusiasmante (codiuvata dalla solita perfetta batteria). “A boat of lies” è un brano di grandissima atmosfera con ancora il suono di una ottima chitarra su di un tappeto che accarezza accordi per uno riuscitissimo pezzo strumentale, pur nella sua brevità. “The weight of te wind”, che dà il titolo al progetto, è invece un brano che si presenta subito con la sua imponenza, vive di grandi aperture che assecondano la voce e di arrangiamenti che conferiscono grande profondità d’insieme; è molto interessante l’evoluzione di questo brano, che piomba nel silenzio e viene poi risvegliato dal pianoforte in un contesto dolce, quasi rarefatto, per poi esplodere su di uno sfondo di note dolci e malinconiche affidate ad un violino al qule spetterà anche il sospiro finale. E si va a chiuere con “The gate (don’t feed it)”, un’atmosfera recata dalla voce e da placidi accordi di pianoforte sino alle parole che un bimbo rivolge al proprio papà. E’ quello di Cozzetto un album che rivela maturità, poesia, destrezza musicale e passione. Non è la canzonetta che distrattamente ci lsciamo scivolare addosso. Qui di canzonette non ce ne sono. C’è una dimensione artistica assolutamente interessante e c’è un bisogno di ascolto che rende il progetto non fruibilissimo, ma certamente di notevolissimo spessore.