Una canzone è spesso cadenza musicale di istanti rubati al nostro vivere, ma quando un intero album diviene memoria per il nostro Paese allora è bene soffermarsi su di esso, al di là dei soggettivismi. Molti sono stati i cantautori di denuncia che hanno agitato il nostro Paese, De André, Ferré, tanto per citarne solo alcuni, e che hanno animato palchi di grande prestigio con le loro cronache musicali contemporanee. Giunti oggi in questo XXI secolo, chi mai potremmo riconoscere come nostri “menestrelli” e pittori in musica della società in cui viviamo? Oggi bisogna davvero andarli a scovare un po’ come dei Pollicino con le briciole di pane lungo i sentieri di circoli culturali, biblioteche, e persino di ex manicomi, così come è capitato a me. E’ proprio lì infatti che ho incontrato Alessio Lega, cantautore leccese trapiantato a Milano, vero “documentarista musicale” della nostra società, che per fede non lascia mai il suo palco senza un mandato di memoria. Il suo E ti chiamaron matta, pubblicato per Nota nel 2008, è certamente un album che non lascia margine a dubbi e si staglia come una operazione di recupero della memoria sulle condizioni esistenziali all’interno degli ospedali psichiatrici negli anni ’70, memoria che seppur recente appare, ahimè, obliata. Il lavoro discografico proposto è la reincisione con scabro e nudo sentire, insieme con Rocco Marchi e la voce di appoggio di Lorenzo Valera, dell’omonimo album di Gianni Nebbiosi uscito nel 1972, prodotto e supportato artisticamente da Giovanna Marini per i Dischi del Sole. La particolarità del lavoro musicale di Nebbiosi, recuperato da Lega, è certamente la compattezza con cui negli anni ’70 l’intero album, in soli 18 minuti, sbatteva violentemente alla luce del sole lo status dei manicomi alle porte dell’entrata in vigore della legge Basaglia n.180 del 13 maggio 1978, legge su “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori“. I testi delle sei canzoni in esso contenute sono taglienti e non lasciano scampo ad equivoci, ancor piu’ perché scritte da un professionista del campo come Nebbiosi, oggi noto psichiatra e psicanalista.
E ti chiamaron matta
01 -In un anno e più d’amore
02 – Il numero d’appello
03 – E qualcuno poi disse
04 – Ti ricordi Nina
05 – Ballata dell’alcolizzato
06 – Emigrato su in Germania
La reincisione da parte di Alessio Lega dell’album di Nebbiosi nell’anniversario dei trent’anni della approvazione della Legge Basaglia (2008), non è una semplice rivisitazione dunque, ma un vero passaggio di testimone che ha avuto il carattere dell’urgenza, considerando che l’album dello psichiatra a pochi decenni di distanza dalla sua pubblicazione era già irreperibile e disperso nella memoria . E’ dunque questa una operazione di recupero della storia, seppur recente, ispirata ai migliori principi della etnomusicologia del ‘900 di un Antonino Uccello o di un Alan Lomax. Lega, come uno studioso, raccoglie infatti la testimonianza non del cantautore Nebbiosi, bensì dell’uomo e dello psichiatra che dentro quelle strutture psichiatriche ha vissuto per un periodo della sua vita, restituendoci poi senza orpelli aggiuntivi e con netto taglio sociale, segno distintivo del cammino dell’artista leccese, la visuale di un operatore del settore. Il cantautore leccese rinvigorisce dunque consapevolmente a distanza di pochi decenni con la sua chitarra, e poco piu’, le parole e le immagini regalateci da Nebbiosi anni prima. La parola è dunque guida, racconto, memoria, e la canzone diviene mezzo di diffusione di esperienze, di idee, e di lotta. L’impellenza di questa operazione di recupero nasce dalla constatazione che è necessario tenere un faro accesso nella notte su questioni che ancora oggi prendono forme diverse sotto i nostri occhi con eventi di cronaca che segnano la nostra società, spesso omertosa. E là dove la musica consegna la memoria al XXI secolo, luoghi come l’ex ospedale psichiatrico di Pergine (TR), o l’ex-San Salvi a Firenze divengono oggi spazi per manifestazioni di arte contemporanea perché anche le mura, così come la musica dimenticata di Nebbiosi, non rimangano solo involucro di fantasmi, ma si trasformino in luogo di fermento artistico.
La follia non è forse anche questo?
“In un anno e più di fatti
c’è da correr come matti
cambiano in continuazione
prospettive ed occasione
ed è triste dire poi:
«Chi non cambia siamo noi».
In un anno e più di lotte
quante volte ci si fotte
per paura di sbagliare
stiamo sempre ad aspettare
ma non è la perfezione
che concima la invenzione.
(…)”
da: E ti chiamaron matta, G. Nebbiosi – E ti chiamaron matta, Dischi del Sole, 1972.
Alessia Arena